E non vi conformate a questo secolo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà. [Romani 12:2]
Ogni individuo s’ispira a un modello di riferimento che determina il suo stile di vita. Questo processo avviene più o meno volutamente, ma, molto spesso, è condizionato dalla cultura e dalle mode del contesto in cui vive. Uno dei padri della sociologia, Simmel, affrontò la questione nel famoso saggio sulla moda nel 1895. Simmel definì la moda una compenetrazione che fonde, dentro un unico fenomeno, due spinte contraddittorie; la “distinzione” da un lato, e “l’imitazione” dall’altro. Il primo fattore esprime l’esigenza di differenziarsi rispetto agli altri, il secondo, il bisogno di affermare la partecipazione ad una cerchia sociale (conformismo) ben stimata dalla società. Il paradosso della moda è dunque che essa si presta, secondo l’autore, ad individui che non sono propriamente “individui”[1].
Egli scrisse: la moda è la palestra adeguata per individui che sono intimamente non autonomi e bisognosi di appoggio.[2] Infatti, tutto ciò è riscontrabile nella società: molta gente è smaniosa di fare acquisti, desiderosa di mutare, e in altri casi di trasformare la propria immagine, e ciò coincide spesso nei momenti di maggior vulnerabilità e fragilità emotiva, correndo il rischio, a volte, anche di diventare ridicoli, perché si può assumere un’immagine che si discosta notevolmente dalla propria più abituale, in dissintonia con quella passata, e con l’età. Capita perciò di vedere ragazze quindicenni in piena crisi adolescenziale che vogliono a tutti i costi ostentarne venti, ma anche donne più che quarantenni, o cinquantenni, che giocano a fare le ventenni, che, come in un noto esempio di Pirandello, si espongono fino al rischio di coprirsi di ridicolo[3].
La situazione sociale odierna sta facendo sprofondare le persone nell’anonimato e verso un crescente vuoto interiore, ormai pressoché orfani di punti di riferimento stabili. Per questa ragione essi oscillano tra la noia esistenziale e le mode, vedendo in quest’ultima come uno degli antidoti al proprio male di vivere. Ciascuno, come può, affoga la sua mente nelle illusioni che le mode abilmente offrono, e che frequentemente inducono gli individui all’autoesaltazione, al desiderio di protagonismo, all’esibizionismo, alla stravaganza, e all’orgoglio. La moda, secondo Simmel, determina nell’individuo: una parodia di sé stesso. I tratti dell’eccentricità e della ricerca ossessiva di segni distintivi o di novità stupefacenti, sono il tentativo di costruzione di una “personalità” che tende a svuotarsi di senso, a ridursi a mera collezione di segni esteriori. [….] Nella decisone di seguire una moda il singolo afferma la propria volontà di distinguersi da tutti coloro che non la seguono; ma, nello stesso momento, afferma anche quella di assomigliare a coloro che ne sono i rappresentanti. [4]
L’effetto latente della moda è che smette di essere tale ad appannaggio di un’elite quando si diffonde ed entra a far parte delle consuetudini di massa, come accade, per esempio, con certi elementi del vestiario. A quel punto, la moda deve replicare sé stessa mediante la creazione di una nuova moda, e innesca un processo di moto perpetuo che non avrà mai termine. Il famoso stilista Coco Chanel ha sintetizzato con tre efficaci aforismi la differenza significativa che esiste tra la fugacità della moda e l’immanenza della stile che, invece, non tramonta mai nonostante il passare degli anni: «Per essere unici bisogna essere diversi»; «La moda passa, lo stile resta»; «La moda è fatta per diventare fuori moda». Anche la sorella White si è ispirata su questo argomento offrendo significativi spunti di riflessione: La vera bellezza non si ottiene deformando l’opera di Dio, ma mettendosi in armonia con le leggi di Colui che ha creato ogni cosa.[5]
[…] In questa nostra epoca, prima della grande crisi finale, come prima della distruzione del mondo attraverso il diluvio, gli uomini sono presi dai piaceri e dalla soddisfazione dei sensi. A forza di occuparsi di ciò che è visibile e transitorio, hanno finito col perdere di vista ciò che è invisibile ed eterno.[6] L’amore per l’abbigliamento e l’attaccamento alla moda sono temibili rivali dell’insegnamento, veri e grandi ostacoli. La moda è una sovrana che governa con mano ferrea. […] L’amore dello sfarzo porta alla stravaganza e uccide in molti giovani l’aspirazione per una più nobile esistenza.[…] Il carattere d’una persona si giudica dal modo di vestire. Un gusto raffinato, una mente coltivata, si riveleranno nella scelta di un abito semplice ed elegante. La sobria semplicità nell’abito unita alla modestia del comportamento faranno in modo che una giovane donna sia circondata di quell’atmosfera di sacra riservatezza che costituisce uno scudo contro mille pericoli.[7]
Gesù, il nostro creatore, ci chiede di adottare il “suo stile” imitandolo (Efesini 5:1). Lo stile del cristiano trascende le mode del momento e il conformismo che esse richiedono, per conformarsi solamente alla volontà di Dio (Romani 8:29). Chi sceglie Gesù, sceglie anche lo stile che proviene da Lui, che lo porta a restare sempre al Suo fianco senza compromessi con le mode della società. Decide di guardasi bene da usi, costumi, idee, tradizioni mode contemporanee, ecc., che sotto l’innocua apparenza potrebbero, invece, rivelarsi perniciose. Stare al passo con le mode, seguirle pedissequamente per il desiderio di voler assomigliare agli altri a tutti i costi, può rivelarsi, a volte, molto rischioso. Per mode non si deve intendere solamente l’abbigliamento, ma il termine nel contesto più ampio e totale della sua accezione! Seguire le mode significa mimetizzarsi, e ciò sarebbe un controsenso, perché Gesù ci chiede esattamente il contrario: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini (Mt. 5:16).
Seguire le mode significa perdere la propria unicità e la propria diversità: Ma voi siete una generazione eletta, un real sacerdozio, una gente santa (I Pt. 2:9). Il conformismo induce gli individui a cedere una parte della propria identità personale per sostituirla con i tratti di un’identità più collettiva. Questo automatismo è simile al richiamo del suono del “pifferaio magico”. Catturati dalla magia di questo incantesimo che da gregari ci mette in fila nella massa, si può cedere al tranello di accettare anche punti di vista e comportamenti contrari alla volontà di Dio, per il semplice fatto che “oggi si usa fare così”, per il timore di sentirsi ridicoli e diversi da tutti gli altri. Per queste dinamiche psicosociali il popolo d’Israele si rifiutò di dare ascolto alle parole di Samuele, e disse: No! Ci sarà un re su di noi; e anche noi saremo come tutte le nazioni (I Sam. 8:19-20), piuttosto che dare ascolto alle parole del profeta di Dio e di seguire ciò che Dio aveva comandato loro. Si può pertanto concludere che la vita è anche una questione di stile. Che il Signore ci aiuti sempre a mantenere la nostra unicità, la nostra diversità, e il “Suo stile” nelle nostre vite. Che il Signore ci aiuti a mantenerci conformi alla sua volontà, alle sue leggi, e alle sue prescrizioni, evitando il conformismo verso le cose del mondo, e a non immischiarci in faccende della vita che potrebbero distrarci dal buon combattimento (II Timoteo 2:4).
Davide Pizzi
[1] P. Jedlowski, Il mondo in questione, Carrocci Editore, Roma, pag. 115.
[2] G. Simmel, in AA. VV., a cura di C. Baldini, Sociologia della moda, Armando Editore, Roma, 2008, pag. 39.
[3] Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così, come un pappagallo, ma che forse ne soffre, e lo fa soltanto perché pietosamente si inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico. Saggio sull’Umorismo, 1908.
[4] P. Jedlowski, Il mondo in questione, Carrocci Editore, Roma, pag. 114-115.
[5] E.G. White, Principi di educazione cristiana, Edizioni ADV, Impruneta, 1978, p. 163.
[6] Ibid, pag. 149.
[7] Ibid, pag. 205.